La storia della Brina lungo la linea del tempo

 

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fine V-IV secolo a.C.

I Liguri alla Brina: l’insediamento dell’età del Ferro

L’insediamento più antico alla Brina risale all’Età del Ferro, quando sulla sommità collinare sorsero delle capanne, probabilmente parte di un castellaro abitato dai Liguri Apuani.

Le tracce più antiche di insediamento umano sul colle della Brina si datano al V-inizi del IV secolo a.C.: a questo periodo risale il fondo di una capanna rinvenuta nella porzione nord-occidentale del sito archeologico.

Data la cronologia e la tipologia dei reperti trovati in relazione a queste evidenze, si ritiene che la capanna facesse parte di un più ampio abitato di altura controllato dai Liguri Apuani, che popolavano questa area della Lunigiana prima della colonizzazione romana.

IX-inizi X secolo d.C.

Il villaggio altomedievale

Dopo l’abbandono nel periodo romano, nei primi secoli del medioevo la sommità della Brina si ripopolò, con un villaggio di capanne che si sviluppò in un insediamento articolato e fortificato prima del Mille

Alla Brina non sono state trovate tracce di frequentazione relative all’età romana. Il crinale sembra ripopolarsi tra il IX e gli inizi del X secolo, quando nasce un villaggio di capanne. Nella prima parte del periodo queste abitazioni sono tutte simili tra loro e realizzate in materiali deperibili come il legno, la paglia e l’argilla essiccata al sole.

Verso gli inizi del X secolo si verificarono alcune novità. Le capanne situate nella parte più alta del colle furono protette da una palizzata lignea, ad indicare una differenziazione sociale di chi vi abitava. Inoltre furono costruiti anche i primi edifici con una zoccolatura in pietre legate con terra, per dare maggiore solidità alle fondazioni rispetto ai fenomeni di dilavamento lungo il pendio.

fine X secolo-inizi XIII secolo

Il castello in pietra dei “Da Burcione”

Intorno al Mille la Brina vide una profonda trasformazione. I signori del castello, i “Da Burcione”, promossero la ricostruzione di tutta la parte sommitale e della prima recinzione del castello, che furono edificati con pietre legate da buona malta.

Tra i secoli X e XI l’abitato della Brina subì una profonda trasformazione per volontà di coloro che amministravano il centro curtense e dominavano il villaggio, i signori “Da Burcione”, un’altra località vicino ad Aulla.

Il cambiamento più importante riguardò le costruzioni, nelle quali i materiali deperibili furono sostituiti dalle pietre legate con la malta di calce. Ciò consentì di edificare abitazioni più ampie e resistenti, oltre a nuovi elementi difensivi. Tra questi il muro di recinzione, che andò a sostituire la palizzata sommitale ampliandone il percorso verso sud, e la prima torre di avvistamento a sezione circolare, una delle più antiche della Lunigiana.

Per l’elevazione di quest’ultima e degli ambienti principali intervennero probabilmente delle maestranze specializzate, che usarono un miscelatore meccanico per la malta e la roccia calcarea, non presente in loco. Per la cinta muraria invece furono probabilmente impiegati dei lavoratori locali, forse i sottoposti di signoria, che utilizzarono la pietra della Brina e un sistema di mescolamento manuale della malta, più semplice e dispendioso in termini di forza lavoro.

Tra le fonti economiche del sito un ruolo di primo piano doveva avere la produzione agricola, in modo particolare la coltivazione di differenti tipi di cereali, che venivano tostati intorno ad un focolare e poi conservati in buche realizzate nella roccia all’interno di un magazzino nella zona meridionale del pianoro, chiuso dalla nuova cinta. Altra attività importante doveva essere l’allevamento di capro-ovini, dal quale derivava anche la lana filata dalle donne che abitavano il castrum de Brina, come ricordano le fusaiole trovate negli strati di questo periodo.

Ancora nel secolo XII il castello andò soggetto ad alcune ristrutturazioni nella sua porzione più elevata, pur mantenendo un assetto simile a quello del secolo precedente.

tardo XIII-inizi XIV secolo

La Brina tra il vescovo di Luni e i Malaspina

Nel tardo Duecento il Vescovo di Luni promosse la ristrutturazione della rocca della Brina e di tutti gli altri apparati difensivi del castello, probabilmente in funzione anti-malaspiniana. Ciò provocò lo scontro acceso tra le due parti che, di fatto, culminò con la distruzione della parte sommitale del Castrum de Brina.

Nel corso del Duecento la Brina vide diversi importanti mutamenti in conseguenza dello scontro accesosi tra il Vescovo Enrico da Fucecchio e i Marchesi Malaspina, che culminò in una serie di azioni politiche intraprese dal primo tra 1279 e 1281 per ribadire i suoi diritti sul castello.

Fu in questo periodo che la parte più elevata del sito e gli accessi del castrum videro una radicale riorganizzazione, per accrescerne la funzionalità dal punto di vista militare e sottolinearne la valenza simbolica quali emblemi del potere signorile.

Nella parte sommitale fu costruito un nuovo palazzo articolato in due ampie sezioni e probabilmente elevato su due piani. Esso fu munito di una nuova torre di avvistamento presso l’angolo nord-ovest e fu protetto da una prima cerchia muraria, estremo baluardo in caso di assedio. Sempre a settentrione fu collocata la postierla che consentiva l’ingresso alla rocca, sotto il controllo a vista del torrione.

La porta che si apriva nella parte meridionale della più ampia cinta muraria invece fu dotata di antiporta e venne ristrutturata anche la vicina guardiola per i soldati.

Infine uno degli edifici nelle immediate vicinanze del cassero tra fine XII e XIII secolo fu adibito in stalla con tutta probabilità per il ricovero del numero accresciuto di cavalli e muli in dotazione degli armati presenti nel castello.

secondo quarto XIV-XVI secolo

La distruzione della rocca e le nuove funzioni della Brina

In seguito alla pace tra il Vescovo e i Malaspina, nei primi decenni del Trecento si decise di procedere con la demolizione della rocca e della possente torre della Brina.
Il sito tuttavia non fu completamente abbandonato, ma anche in seguito vide alcune costruzioni e ristrutturazioni, per funzionare prima come podium a guardia del territorio per i Malaspina, e poi come zona di controllo doganale del Comune di Sarzana.

Le contese sorte tra il Vescovo di Luni e i Malaspina condussero alla demolizione della torre con il resto del cassero duecentesco dopo la pace di Castelnuovo del 1306. L’abbattimento di queste strutture fu un atto simbolico importante, di definitivo annullamento del potenziale militare del castello.

Una volta evacuata la rocca e dopo un periodo di breve abbandono nel quale erano già crollati parte dei tetti, si mise mano alla sua distruzione.
Per la torre (Area 3000) si usò una tecnica utilizzata quando ancora non si conosceva la polvere da sparo: man mano che si scalzavano le pietre alla base del paramento, vi venivano alloggiati dei puntelli di legno, per sostenere la struttura durante l’opera di asportazione; in seguito vi si appiccava il fuoco, in modo da far mancare il sostegno e provocarne il cedimento.
Il muro di cinta del ridotto fortificato e i perimetrali del palazzo ebbero sorte analoga: furono scalzati facendo leva su dei cunei inseriti alla base e tirandoli dalla parte opposta con corde agganciate alla sommità.

L’annullamento della rocca comunque non comportò l’abbandono totale del sito, che continuò a essere frequentato in diverse sue parti. La zona più elevata del ridotto difensivo con il tempo fu liberata dalle macerie più ingombranti e livellata per consentirne l’uso come punto di avvistamento .

Anche lo spazio esterno alla rocca verso est fu regolarizzato per ospitare almeno una capanna e altri piccoli edifici con murature legate a secco, e la stessa stalla potrebbe essere rimasta in funzione per una parte del Trecento.

Un’area di guardia più attrezzata fu costruita con materiale di reimpiego presso gli accessi meridionali della cinta. Essa era costituita da un ampio edificio che prospettava su uno spiazzo acciottolato antistante la porta principale.

Era probabilmente questa la parte principale del podium che secondo i documenti avevano realizzato al 1386 i Malaspina, ai quali era rimasto il possesso del castello dopo la pace con il Vescovo. Per tali motivi ancora nel Quattrocento fu collocata qui la dogana di Sarzana.

 

XVII-XX secolo

Dall’abbandono del castello, agli usi pastorali fino ad oggi

Le vicende che coinvolsero la Lunigiana tra il XVI e il XVII secolo portarono profondi cambiamenti sul sito della Brina e anche l’ultima postazione di controllo della viabilità e del confine di Sarzana fu abbandonata.
In epoche più recenti l’area fu usata soltanto per attività silvo-pastorali di tipo stagionale, fino al ritrovamento del “torraccio” da parte del CAI e all’avvio delle ricerche archeologiche che hanno portato alla scoperta del castrum de Brina.

Il grande edificio costruito sul pianoro meridionale alla fine del Trecento e lo spiazzo lastricato antistante rimasero in funzione ancora nel Quattrocento ad uso della dogana di Sarzana. Tra la fine del XVI e la fine del XVII secolo vi si verificò un incendio, che ne provocò il crollo del tetto e il successivo abbandono di tutta la zona.

La stalla e le altre strutture in materiale più a settentrione tra il pieno XIV e la fine del XV secolo erano invece già state obliterate da crolli e da depositi colluviali, che ne nascosero completamente la vista per secoli.

Nella tarda età moderna fino alla metà del XX secolo l’area sud del castello, così come quella settentrionale furono delimitate da alcune murature a secco e da accumuli di pietre sempre per recinzione dello spazio, probabilmente per usi pastorali di tipo stagionale.

Da quel momento si sono susseguite solo frequentazioni occasionali da parte degli abitanti della zona per la raccolta di vegetazione spontanea (erbe aromatiche, asparagi) e per farne meta di picnic in giornate festive, come il lunedì di “Pasquetta”.

Soltanto il lavoro di ripristino del sentiero di crinale da parte del CAI di Sarzana alla fine degli anni Novanta del secolo scorso ha spostato di nuovo i riflettori su questo antico insediamento, portato alla luce e alla conoscenza di un pubblico più vasto con le indagini archeologiche che si sono susseguite dal 2000 al 2013 ad opera delle Università di Pisa e di Sassari in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia della Liguria.

XXI secolo

Valorizzare la Brina: l’area archeologica e l’esposizione

Con una ricognizione di superficie e a 11 campagne di scavo (2000-2013) il castello della Brina è stato riportato alla luce ed è visitabile lungo il sentiero tracciato dal CAI di Sarzana, corrispondente alla Via Francigena Alta.

Grazie ai finanziamenti europei dell’asse POR-FESR veicolati dalla Regione Liguria, è stato possibile restaurare le murature e sistemare l’area archeologica della Brina, attraverso un percorso che ne consente di vistare le varie parti e alcuni pannelli esplicativi che ne spiegano i resti a vista, ricordandone le vicende nel tempo.

Nell’ambito dello stesso progetto di valorizzazione del castello è stata concepita e realizzata questa esposizione permanente dei reperti, attraverso i quali è possibile seguire i mutamenti insediativi e anche i cambiamenti negli usi e nei modi di vita degli abitanti della Brina.

L’esposizione è stata realizzata nei locali della fortezza di Sarzanello, perché qui un tempo si trovava un altro importante castello del Vescovo di Luni, situato su una sommità in vista della quale si doveva poter scorgere anche il , come è possibile fare ancora oggi affacciandosi sulle mura sul lato settentrionale.

Il progetto è completato dalla pubblicazione di un sito Web dedicato, collegato ad alcuni applicativi che consentono di collegare i resti archeologici ai suoi materiali, ovvero il sito della Brina a questa mostra, e dall’edizione di alcuni testi a stampa.

 

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